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sabato 27 gennaio 2018

RECENSIONE: IL TATUATORE DI AUSCHWITZ DI HEATHER MORRIS

Il 18 Gennaio, usciva per la casa Editrice Garzanti "Il tatuatore di Auschwitz"di Heather Morris. Oggi 27 Gennaio, in occasione del giorno della memoria sono qui a parlarvene, esprimendo come sempre il mio parere più sincero.

Titolo: Il tatuatore di Auschwitz

Autrice: Heather Morris

Casa Editrice: Garzanti

Genere: Narrativa

Data di pubblicazione: 18 Gennaio 2018

Pagine: 224

Prezzo: € 17.90 (cartaceo)



Trama
Non esiste luogo in cui l’amore non possa vincere

«Lale cerca di non alzare lo sguardo. Allunga la mano e prende il pezzo di carta che gli viene porto. Deve trasferire le cinque cifre sulla ragazza che lo stringe. Quando ha terminato, la trattiene per un braccio un attimo più del necessario e la guarda negli occhi. Abbozza un sorriso timido e sforzato e lei risponde con un sorriso ancora più timido. Tuttavia gli occhi di lei gli danzano davanti. Mentre li fissa, sembra che il suo cuore allo stesso tempo smetta di battere e ricominci per la prima volta, impetuoso, minacciando quasi di scoppiargli fuori dal petto. Lale abbassa lo sguardo verso il suolo  che oscilla sotto i suoi piedi. Quando risolleva lo sguardo, lei non c’è più.»

Il cielo di un grigio sconosciuto incombe sulla fila di donne. Da quel momento non saranno più donne, saranno solo una sequenza inanimata di numeri tatuati sul braccio. Ad Auschwitz, è Lale a essere incaricato di quell’orrendo compito: proprio lui, un ebreo come loro. Giorno dopo giorno Lale lavora a testa bassa per non vedere un dolore così simile al suo finché una volta alza lo sguardo, per un solo istante: è allora che incrocia due occhi che in quel mondo senza colori nascondono un intero arcobaleno. Il suo nome è Gita. Un nome che Lale non potrà più dimenticare.
Perché Gita diventa la sua luce in quel buio infinito: racconta poco di lei, come se non essendoci un futuro non avesse senso nemmeno un passato, ma sono le emozioni a parlare per loro. Sono i piccoli momenti rubati a quella assurda quotidianità ad avvicinarli. Dove sono rinchiusi non c’è posto per l’amore. Dove si combatte per un pezzo di pane e per salvare la propria vita, l’amore è un sogno ormai dimenticato. Ma non per Lale e Gita, che sono pronti a tutto per nascondere e proteggere quello che hanno. E quando il destino tenta di separarli, le parole che hanno solo potuto sussurrare restano strozzate in gola. Parole che sognano un domani insieme che a loro sembra precluso. Dovranno lottare per poterle pronunciare di nuovo. Dovranno conservare la speranza per urlarle finalmente in un abbraccio. Senza più morte e dolore intorno. Solo due giovani e la loro voglia di stare insieme. Solo due giovani più forti della malvagità del mondo.



"Il tatuatore di Auschwitz" è la storia VERA di Lale e Gita, ebrei deportati nei campi di concentramento e sopravvissuti all'olocausto.

Ci troviamo nel giugno del 1942 quando Lale Eisenberg viene fatto salire su un carro da bestiame che lo condurrà, a sua insaputa, a Birkeneau.
Lale è ignaro di ciò che lo aspetta. Non conosce il motivo per il quale si ritrovi ammassato con altri mille prigionieri. La loro unica colpa?. Essere ebrei.
Arrivato a destinazione Lale ha ben chiaro il suo unico obiettivo: sopravvivere. Non importa il come, nè il quando. Lale è sicuro che riuscirà ad uscire da quel posto orribile.
Riesce infatti in poco tempo a diventare il Tätowierer, il tatuatore: colui che incide un numero identificativo sul braccio dei prigionieri. Perchè una cosa è certa: una volta entrato ad Auschwitz si perde il diritto di essere e sentirsi uomini. 
Nonostante ripudi l'idea di dover incidere e deturpare corpi di povera gente che si ritrova, come lui, a soffrire le pene dell'inferno, Lale sa benissimo che non può rifiutarsi.
Per questo Lale si obbliga a non guardare mai negli occhi le persone che sta marchiando e a cercare di essere più delicato e leggero possibile.
Un giorno però Lale non resiste all'impulso e si ritrova a fissare gli occhi spaventati ed il sorriso timido di Gita. Il cuore di Lale improvvisamente sembra impazzire, scalpitare. E' inarrestabile. 
Lale non riesce a pensare ad altro. Deve scriverle, deve rivederla. Nel suo cuore ormai c'è un unico nome. Gita.
Può però l'amore nascere in un campo di sterminio? Può il vero amore resistere all'olocausto?

Ci tengo a precisare che questa è una storia vera. Alla fine del volume, Heather Morris svela che il libro nasce proprio per volontà di Lale  di documentare la loro storia. L'autrice incontra Lale due volte alla settimana per tre anni, per districare l'intera vicenda e al fine di narrarla nel modo più veritiero possibile.
Nella postfazione del libro invece trova spazio una commovente lettera di Gary Sokolov, figlio di Lale e Gita. 

"Il tatuatore di Auschiwtz" è una lettura triste, dura, forte, cruda. Una lettura che spinge il lettore a porsi domande, a documentarsi. Lale e Gita sono due persone vere, che hanno dovuto affrontare orrori indicibili. Hanno sofferto, hanno vissuto sulla loro pelle la forma primordiale di sofferenza. Eppure io non sono riusciti a sentirli. Ebbene si, questo libro non mi ha cattuarata così come mi sarei aspettata. Mi sono ritrovata a leggere questo libro con la mia testa piuttosto che con il cuore.
Non riesco a trovare una ragione specifica per giustificare questa mia carenza d'empatia. Probabilmente non ho amato il modo della Morris di raccontare questa vicenda. Molte volte ho come avuto l'impressione che la Morris si soffermasse su dettagli inutili ai fini narattivi. Altre ho riscontrato una superficialità immane nel trattare eventi che necessitavano certamente di una maggiore attenzione. 
Sicuramente la narrazione frettolosa ed in terza persona della Morris non mi ha aiutata ad apprezzare questo romanzo così come avrei voluto.
Avrei preferito di gran lunga che questa storia fosse stata narrata da Gary. 

Concludo dicendo che mi sento di raccomandare questo libro a chi , a differenza mia, non ha mai avuto modo di leggere libri relativi a questo triste perido della nostra storia e a quelle lettrici in cerca di romance. 
Per farla breve, miei cari, non aspettatevi un racconto dell'olocausto anche solo minimamente paragonabile a quello fornitoci da Primo Levi. 




2 commenti:

  1. Non sapevo fosse una storia vera. Peccato per la mancanza di empatia e coinvolgimento emotivo. Forse è un libro che spinge più a riflettere e meno ad emozionare.

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    Risposte
    1. Ciao :D
      sicuramente è un libro che spinge a riflettere, tuttavia ho trovato alcune parti troppo superficiali e la scrittura dell'autrice non mi ha convinta. Questo ha sicuramente influito sulla mio giudizio finale. Hai avuto modo di leggerlo? Cosa ne pensi?
      Un abbraccio.
      Pet

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